Roberta Cruciata

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Appunti sui paramenti sacri siciliani a Malta

DOI: 10.7431/RIV14062016

L’importazione a Malta di tessuti e manufatti serici provenienti dalla Sicilia rimane un campo ancora da esplorare. Siamo portati a ritenere che, nel corso dei secoli, soltanto una parte di essi siano stati realizzati in territorio siciliano. Numerosi, infatti, furono verosimilmente quelli non di produzione locale soltanto acquistati nel mercato siculo.

L’argomento qui trattato, con una ridotta ma interessante campionatura di paramenti sacri, documenta per lo più un patrimonio databile al XVIII secolo prodotto in ambito messinese in grado di rievocare intensi traffici commerciali e al contempo i fasti dell’arte della seta della città peloritana. Tali manufatti sono da inquadrare nel più ampio contesto storico-artistico maltese dell’epoca che, al pari di quanto avveniva per le altri arti, privilegiava opere di provenienza francese e romana in primo luogo, ma anche genovese e veneziana, mentre per quanto riguarda i tessili ascrivibili al XVII secolo numerosi sono quelli di manifattura fiorentina, napoletana e spagnola.

La produzione serica messinese sottoposta a una ferrea legislazione fin dal 1530, allorché l’imperatore Carlo V d’Asburgo firmò i “Capitoli dell’arte della seta”1, trovava estimatori in tutta Europa anche per merito della fiera annuale che ivi si svolgeva e del fiorente porto cittadino. Nel periodo compreso tra il 1695 e il 1707 sono registrate cinque presenze straniere tra i membri del Consolato dell’Arte della seta «che risultano però cittadini messinesi “per habitationem”»2. Tra di essi «un tessitore d’opera piana, melitensis di anni 35», documentato il 12 dicembre 17013, la cui presenza in Sicilia non fa che confermare quanto già abbiamo avuto modo di affermare circa gli scambi artistico-culturali bidirezionali tra le due isole, testimoniati proprio dagli artisti e dalle opere melitensi finora attestate in Sicilia4. Si ricordano, a proposito del XVIII secolo, Carmelo Camilleri, autore nel 1748 del coro ligneo della chiesa di Santa Maria della Scala a Noto (Siracusa) e dell’armadio in legno intarsiato che si trova nella sagrestia dello stesso edificio; Francesco Calluto, faber lignarius residente ad Avola (Siracusa); Giovanni De Mech, intagliatore documentato nel 1787 a Modica (Ragusa) dove collaborava con Bartolomeo Scarso di Scicli (Ragusa) alla modifica degli stalli corali del duomo di San Giorgio, opera del 1760 di Vincenzo Lazzara5.

Degna di nota è poi la notizia che nel 1741, due anni prima l’epidemia di peste del febbraio 1743 che causò l’arresto dell’industria serica a causa dell’alta mortalità tra tessitori, tintori e altri lavoranti del settore, in conseguenza della quale molti dei sopravvissuti si sarebbero trasferiti a Catania e ad Acireale, si verificò a Messina una pesante fuga di setaioli «per l’isola di Malta dove si era aperta una fabbrica di drappi»6. Ciò potrebbe significare dunque che taluni manufatti “alla messinese” alla metà del XVIII secolo poterono essere realizzati da artisti siciliani anche a Malta, e non esclusivamente esportati dall’isola più grande alla più piccola. In ogni caso «le spedizioni dei drappi siciliani di cui si faceva grande commercio ancora nel 1781 in molti paesi e specialmente in Trieste, Malta, Lisbona, Marocco e le Isole Canarie, avvenivano da tutte e tre le città dell’isola»7 sede di consolato8; «Messina era la più famosa per le manifatture prodotte con sete fini, realizzate con perfezione e rese caratteristiche per la lucentezza, finezza, arte nel tessere, nel dare i colori e fare le tinte; Catania si distingueva per i velluti e Palermo per le scomiglie e i lustrini»9.

Molti degli orafi e argentieri siciliani documentati a Malta tra la seconda metà del XVI e la metà del XVII secolo, peraltro, erano attivi anche nel commercio di tessuti, come ad esempio il siracusano Bernardino Gallego (Galleco, Galego, Galeo) (doc. dal 1573 al 30 ottobre 1610), al quale in data 6 maggio 1598 il napoletano Giovanni de Piombino si impegnava a pagare dodici ducati «pro pretio et valore Rotulonum Decem et octo cuttoni filati»10. Anche l’orafo Giovanni Moneglia (Moniglia) (doc. dal 16 agosto 1595, giorno in cui sposò a Vittoriosa la maltese Marietta Xuereb11, al 2 agosto 1610), con molta probabilità allo stesso modo originario di Siracusa, è ricordato in numerose occasioni negli anni tra il 1597 e il 1599 per l’acquisto di stoffe12. Risalgono già alla prima metà del Cinquecento cospicue testimonianze documentarie relative alla presenza di tessuti e paramenti sacri provenienti dalla Sicilia, da inquadrare nell’ambito dei più ampi scambi di artisti e di opere d’arte decorativa verificatisi tra il XV e il XIX secolo13. Nel marzo 1520 il Magnifico Alessandro Catagnano, tramite gli agenti Andrea Manduca e Ambrogio Falsone, comprava a Palermo per la cattedrale un parato in broccato («capella di bruccato») costituito tra le altre cose da un piviale («cappa») e due tonacelle («dunicelli cum loru frixi et guarnimenti»), versando la considerevole somma di quasi trecento onze14. Il 17 agosto 1525 acquistava per ventitré onze «velluto ad opu di trj tunichellj et casubli et loru infurra, sita per li loru frisi, oru filatu per rasterrial(?), bordatura, per tila blanca per li amicti, per loru cappi et portatura di Palermo a Malta»15. Doveva trattarsi di un congiunto dell’allora vescovo di Malta Bonifacio Catagnano (1520-1523), successore, nonché parente, di Bernardo Catagnano, a sua volta vescovo dal 1516 al 1520. Nel maggio 1535, ugualmente, damaschi e velluti del valore di circa settanta ducati giungevano dal capoluogo siciliano per la cattedrale di San Paolo tramite gli agenti Paulo de Naso e Antoni de Armanya16.

I Gesuiti di La Valletta il 14 luglio 1650 inviavano quindici scudi e tre tarì «in Messina in complemento del palio bianco dell’altare magiore», opera non identificabile con nessun paliotto di quelli ancora oggi custoditi nella sagrestia della loro chiesa nella capitale maltese17. A proposito degli anni centrali del XVII secolo rimangono anche numerosi documenti a testimoniare l’importante mole di tessuti che i Gesuiti maltesi ricevevano dalla città di Messina. Il 30 novembre 1658 dietro pagamento di ottantasei scudi, sessantasette tarì e quarantacinque grani giungevano «doi pezzi di saia», «canne cinque di saia di costa», «una canna di rascia», «una canna di cerrito», «un rotulo di filo nero», «una canna e mezza di sangallo», «una libra di seta nera», «doicento crocchetti» e «canne quattro di panno»18.

Numerose opere ancora esistenti in collezioni dell’Isola rivelano una decisa appartenenza a quel gusto che potremmo definire mediterraneo, e in taluni casi anche precipue caratteristiche tecniche e stilistico-compositive strettamente raffrontabili con quelle di certa produzione tessile siciliana e spagnola d’età moderna. È il caso del parato liturgico con lo stemma del vescovo spagnolo Fra’ Michele Giovanni Balaguer y Camarasa (1635-1663) custodito presso la cattedrale di Mdina che reca delle affinità con la dalmatica in damasco presente nella chiesa di San Martino a Randazzo (Catania), datata all’ultimo quarto del XVI secolo e attribuita a manifattura siciliana o spagnola19. Si ricorda che si deve al vescovo Balaguer y Camarasa il crocifisso di frate Innocenzo da Petralia collocato nell’omonima cappella della cattedrale maltese, alla destra dell’altare maggiore, che fu donato il 4 maggio 1648, data che pertanto diviene il termine ante quem per la sua realizzazione20.

Il disegno del damasco del paliotto con lo stemma del Gran Maestro Fra’ Nicolas Cotoner (1663-1680) che si trova nel Palazzo dell’Inquisitore a Vittoriosa, già nella chiesa della Madonna della Vittoria a La Valletta, e quello della pianeta dal medesimo tessuto operato recante lo stemma del Gran Maestro Fra’ Adrien de Wignacourt (1690-1697) custodita al Museo Wignacourt di Rabat, proveniente dalla Grotta di San Paolo, similmente, sono accostabili ai disegni che caratterizzano numerose opere del XVII secolo presenti in Sicilia21. È il caso anche della pianeta in damasco della fine del XVII secolo custodita nel Palazzo dell’Inquisitore a Vittoriosa, già nella chiesa della Madonna della Vittoria a La Valletta, e di quella conservata presso la chiesa di Santa Barbara della Lingua di Provenza a La Valletta.

Il 13 aprile 1725 un paliotto in broccato d’oro era donato dal trapanese don Giovanni Ferro, padre del cavaliere Fra’ Alessio Ferro, ricevuto ancora in minore età nell’Ordine di Malta, alla chiesa di Santa Caterina della Lingua d’Italia a La Valletta, mentre nel 1733 il Balì Fra’ Andrea Minutolo di Messina donava «canne quattro di drappo con sua fodera per due pianete»22. Proprio quest’ultimo è il destinatario di numerose epistole scritte dal Gran Maestro Fra’ Antonio Manoel de Vilhena (1722-1736) con l’intento di far giungere a Malta dalla Sicilia pregiati tessuti per confezionare paramenti e arredi liturgici, alcuni dei quali verosimilmente destinati alla co-cattedrale di San Giovanni Battista23. Il 17 novembre 1722 il Gran Maestro richiedeva una «provvista di canne dieci e mezza di damaschello bianco […] Il medesimo deve servire per un apparato da altare, onde dovrete regolarvi in scegliere quello che è più proprio non tanto per l’opera quanto per la qualità»24. Il 22 gennaio 1724 lo informava che «occorrendoci canne dodici damasco Cremisi di nove oncie di peso la Canna, appoggiamo a voi la commissione di provvedercelo quando più presto vi sarà possibile, e di mandarcelo subito per via di qualche sicuro bastimento»25, che sarebbe poi stato consegnato il 26 febbraio26. Contestualmente sono documentati anche acquisti di argento, come accadeva il 3 febbraio dello stesso anno: «circa alla partita d’argento dorato, questi periti ci hanno detto, non convenire all’uso, che dobbiamo farne, onde vi contenterete astenervi dal comprarlo, non tanto in questa congiuntura, ma in qualsivoglia altra, vi sene presentasse provvedendoci solamente Argento semplice della qualità, ed ai prezzi prescrittivi colle antecedenti, alle quali ci riportiamo, attendendo dunque in ciò nuovi attestati della vostra attività, preghiamo perché ci occorre la provvista di libbre quattro seta torta cremisi, ed altre libbre due di seta parimenti torta color d’Isabella, come pure di para cinque calzette di capicciola color d’oro […]»27. I tessuti commissionati giungevano a Malta il 13 marzo 172428. Il 1 maggio il Gran Maestro richiedeva al procuratore Minutolo «Libbre trenta seta della qualità, e colori, che denotano le mostre annesse all’ingiunta nota, a cui ci riportiamo, ed anche Canne dieci terzanello verde di buona qualità […]»29.

Il 2 settembre 1751 al prezzo di sessantatré scudi anche la cattedrale di Mdina acquistava «Frangia, e Galloni di diversi colori lavorati in Messina» per realizzare delle pianete30.

I paramenti sacri di manifattura messinese ascrivibili al XVIII secolo finora individuati si possono considerare uno specchio fedele del tempo in cui furono realizzati, quando alla ricerca di plasticità si sostituì progressivamente un disegno più decorativo in linea con la moda internazionale che  imponeva decorazioni floreali grandi ed esotiche31. Essi evidenziano la predilezione tardo barocca per i girali di acanto e per il simbolico ornato fitomorfo32, in particolare per i tulipani, fiore amatissimo e molto usato a partire dalla fine del XVI secolo, nonché per le rose, alle quali si sarebbero aggiunti in seguito fiori rari noti per mezzo delle illustrazioni dei libri di botanica circolanti a quel tempo. Il nuovo orientamento, com’è noto, ebbe origine in Francia, nazione arrivata negli ultimi decenni del Seicento alla conquista della leadership nel settore tessile e in quello della moda. Tali manufatti rappresentano, inoltre, un’ulteriore conferma del fatto che Messina nel corso del XVIII secolo ebbe un ruolo privilegiato negli scambi di opere d’arte decorativa con Malta, come suggerivano già gli argenti siciliani settecenteschi “riscoperti” sull’Isola33: parecchi, infatti, sono i calici in collezioni ecclesiastiche e conventuali che testimoniano l’evoluzione dello stile imperante all’epoca nella produzione dei maestri argentieri della città dello Stretto, e per estensione dell’intera Sicilia, dal tardobarocco al pieno rococò, fino ai nuovi innesti neoclassici. Un emblematico esempio è rappresentato dal paliotto architettonico in argento e argento dorato sbalzato, cesellato e inciso dell’altare della confraternita della Beata Vergine della Carità nella chiesa di San Paolo Naufrago a La Valletta, che palesemente aderisce alla nascente sensibilità neoclassica, opera dell’argentiere Onofrio Lancella datata 1792, come rivelano i marchi34.

Il museo della cattedrale di Mdina custodisce quattro pianete inedite, di cui due parte del percorso espositivo, realizzate con tessuti “bizarre” riconducibili a manifattura messinese della prima metà del Settecento, che si trovavano in precedenza nella chiesa dei Gesuiti di La Valletta (Figg. 12). I motivi decorativi sono elaborati con un gusto fantastico che confina, soprattutto in alcuni, con l’astrazione. Inedite opere siciliane sono anche due palle (Figg. 34) e due veli da calice custoditi nei depositi del museo, che ugualmente provengono dalla chiesa gesuita della capitale maltese. Degno di nota è il velo recante centralmente il mezzobusto di Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), opera della fine del Seicento-inizi del Settecento, il cui incarnato è ottenuto con l’applicazione di porzioni di tessuto in seta sagomato e dipinto ad acquarello (Fig. 5), così come avviene nel paliotto ricamato raffigurante Il trionfo della fede di San Francesco Saverio e Sant’Ignazio di Loyola del museo della chiesa del Gesù di Casa Professa a Palermo attribuito a maestranze siciliane della seconda metà del XVII secolo35. Il coevo velo con il mezzobusto di San Francesco di Sales (1567-1622), realizzato con la stessa tecnica, poteva far parte in origine degli arredi della cappella di San Carlo Borromeo (Fig. 6): il vescovo e Dottore della Chiesa francese figura, infatti, nella pala d’altare del pittore Stefano Erardi (1630-1716) insieme al Santo titolare e in una delle due lunette realizzate dallo stesso pittore maltese. Nella cappella di San Carlo si trova pure la tomba della famiglia Sagnani, dove è seppellito quel don Giovanni Battista Sagnani, gesuita, che fu a capo della chiesa parrocchiale di Casal Zebbugi dal 1705 al 174036, il cui nome è legato, come si dirà a breve, ad alcune opere d’arte decorativa siciliana della locale chiesa di San Filippo d’Agira.

Verosimilmente riferibile a maestranze messinesi di fine XVII-inizi del XVIII secolo è l’inedito parato liturgico composto da pianeta, stola e velo da calice custodito nel convento dei Domenicani a Rabat (Fig. 7). Il tessuto operato di tali manufatti appartiene alla tipologia definita “a isolotti” o “a zolla”, con piccole architetture disposte simmetricamente tra loro e intervallate nell’iterazione in verticale da grandi fiori, entrambi tracciati con una delicata gamma cromatica. La raffigurazione di elementi architettonici o anche etnografici, retaggio della cultura iberico-orientale, è una caratteristica propria di diversi tessuti siciliani della prima metà del XVIII secolo. Le opere trovano immediati riscontri con una pianeta in broccato custodita a Enna37, con la dalmatica in lampasso con figurazioni architettoniche, floreali e animali presente ad Isnello (Palermo)38 e con il parato composto da due pianete e sei tonacelle della chiesa Madre dell’Assunta di Castroreale (Messina)39.

Anche nella sagrestia della cattedrale dedicata a San Paolo Apostolo si conservano inediti paramenti sacri verosimilmente messinesi, soprattutto pianete, come quella dai caratteristici disegni a grande rapporto e dalle fantasiose composizioni floreali di derivazione francese che rientra nella produzione di tali maestranze della prima metà del XVIII secolo (Fig. 8). Due galloni in fili d’oro lavorati a catena dividono il manufatto in tre campi, riempiti sapientemente da varie tipologie floreali dai colori tenui disposte secondo la struttura compositiva “a isolotti”. Grandi motivi dorati a foglie svolazzanti completano la decorazione, fuoriuscendo dai ricami a punto canestro. Manufatti dal medesimo gusto appartengono alla confraternita di Maria SS. della Mercede di via Maqueda, nella chiesa dell’Assunta, a Palermo40.

Le collezioni del museo dei Cappuccini di Floriana comprendono un’inedita pianeta messinese in broccato realizzata con la tecnica del “point rentré”, ascrivibile al secondo quarto del XVIII secolo. La sua decorazione è ricca, il disegno ricercato e la policromia appare armonica ma al contempo esuberante.

Un parato liturgico composto da piviale, pianeta, due tonacelle, coprileggio e due paliotti mobili in buono stato di conservazione, giunto da Messina negli anni 1728-1729, si trova nella chiesa parrocchiale di San Filippo d’Agira a Casal Zebbugi (Figg. 91011)41. Utilizzato in occasione della festa in onore del Santo, che si svolge annualmente la seconda domenica di giugno, fu pagato mille scudi, duecento dei quali versati dalla confraternita della Morte su interessamento del gesuita Pietro Aquilina mentre era parroco don Giovanni Battista Sagnani42. Il nome di quest’ultimo è legato, insieme a quello del Gran Maestro portoghese Fra’ Antonio Manoel de Vilhena, soprattutto alla trattativa che portò da Agira (Enna) a Malta una reliquia di San Filippo per la fervente comunità di Casal Zebbugi, contenuta nel reliquiario del braccio del Santo custodito oggi nella stessa chiesa, opera di argentiere palermitano del 1723 saggiata dal console Francesco Burgarello (1674-1740) in carica quell’anno43. Il reliquiario giunse da Palermo il 25 ottobre, e il 23 novembre dello stesso anno fu donato dal Gran Maestro Vilhena alla cittadina maltese, come confermano il suo stemma e l’iscrizione commemorativa sul retro della teca44.

Ritornando al parato messinese contribuirono economicamente alla sua realizzazione anche le confraternite del Sacramento, della Carità, della Madonna del Rosario e quella della Madonna della Cintura. La provenienza dei manufatti, in tessuto ricamato con elementi che riprendono i disegni stilizzati delle stoffe definite bizarre, d’altra parte, è esplicitata dalla squillante policromia dei filati e dai decori fitomorfi e fogliformi aurei tipici di molti ricami siciliani che, se da un lato sembrano seguire i fantasiosi sviluppi di memoria tardobarocca, sono già proiettati verso la nuova sensibilità rocaille. Schemi compositivi e decorativi analoghi si trovano nel parato costituito da una pianeta e una stola, e da quello formato da una pianeta e due tonacelle, riferiti rispettivamente agli anni centrali e alla seconda metà del XVIII secolo, che si trovano nella chiesa madre di Termini Imerese (Palermo)45. Si possono citare anche le tre pianete della chiesa Madre di Caccamo (Palermo)46, la pianeta in raso ricamato dell’abbazia di San Martino delle Scale (Palermo)47 e i parati composti da pianeta, stola e manipolo della prima metà del Settecento custoditi nella chiesa di San Nicolò di Bari a Nicosia (Enna)48. Anche a Palermo negli stessi anni si realizzavano paramenti dal medesimo gusto, come dimostra quello in terzo ricamato con fili di seta policromi e fili d’oro e d’argento composto da pianeta, due dalmatiche, una tonacella, tre stole, manipoli, borsa e palla, commissionato nel 1724 dalla Maramma e oggi custodito nel tesoro della cattedrale49; la tonacella in gros de Tours ricamato, ugualmente patrimonio della cattedrale, datata al primo ventennio del Settecento50; oppure taluni manufatti coevi che si trovano a Palazzo Abatellis, provenienti dal Museo Nazionale e ancor prima dal Collegio gesuitico51.

Strettamente raffrontabile con i paramenti sacri di Casal Zebbugi sia da un punto di vista tecnico che stilistico-compositivo è il parato liturgico in tessuto ricamato composto da una pianeta e due tonacelle custodito nella chiesa collegiata della Vergine Maria a Senglea (Fig. 12), a tal punto che pare possibile ipotizzare una loro provenienza dalla medesima bottega messinese. D’altra parte è ormai risaputa l’esistenza di cartoni preparatori che, con piccole varianti decorative, venivano applicati indifferentemente a diversi manufatti. Le opere provengono dalla chiesa di San Filippo Neri di Senglea dove, peraltro, si conservano ancora un paliotto e un conopeo parte in origine del medesimo corredo. Il ricamo è caratterizzato da un motivo a impostazione verticale con andamento sinusoidale e speculare, una fitta successione di simbolici garofani, tulipani e dalie che si intrecciano con stilizzati girali vegetali e motivi di ispirazione esotica color oro. Le strutture interne e il perimetro sono ugualmente delimitati da un motivo a fascia dorato. L’inserimento dei variopinti tulipani, inoltre, attesta il perdurare nelle arti decorative di Sicilia della moda seicentesca europea conosciuta come “tulipanomania”52. Simili espressioni dell’esuberante cultura barocca della prima metà del Settecento siciliano, non immuni da coeve influenze extra-isolane e internazionali, sono le pianete della chiesa dell’Annunziata di Caccamo (Palermo)53 e del Museo Diocesano di Monreale (Palermo)54.

Un simile impianto compositivo contraddistinto da filati serici dall’intenso cromatismo, tendenti però ad assumere un movimento maggiormente astratto e stilizzato, si ritrova anche in altri paramenti liturgici presenti in chiese dell’arcipelago maltese, verosimilmente ascrivibili a maestri siciliani della prima metà del Settecento. È il caso dell’inedito parato composto da una pianeta, due tonacelle, due stole e due manipoli custodito nella chiesa conventuale di San Marco degli Agostiniani di Rabat, il cui ricamo in tempi recenti è stato riportato su nuovi tessuti (Fig. 13).

  1. Cfr. C. Ciolino Maugeri, Documenti inediti per una storia degli argenti e delle manifatture seriche nella Messina del Seicento, in Cultura, Arte e Società a Messina nel Seicento, atti del convegno (Messina-Gesso 29-30 ottobre 1983), Messina 1984, p. 98. []
  2. C. Ciolino Maugeri, Attività serica a Messina dal 1674 al 1754, in Lusso e devozione. Tessuti serici a Messina nella prima metà del ‘700, catalogo della mostra (Taormina – Palazzo Corvaja 5 novembre 1984-15 gennaio 1985) a cura di C. Ciolino Maugeri, Messina 1984, p. 31. []
  3. Ibidem. []
  4. Per l’argomento cfr. R. Cruciata,  Intrecci preziosi Arti Decorative Siciliane a Malta 1565-1798, prefazione di M.C. Di Natale, premessa di M. Buhagiar, saggio introduttivo di M. Vitella, “Quaderni dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia Maria Accascina”, 5, collana diretta da M.C. Di Natale, Palermo 2016, in part. pp. 50-51. []
  5. R. Cruciata,  Intrecci preziosi …, 2016, p. 50. []
  6. C. Ciolino Maugeri, Attività serica a Messina …, in Lusso e devozione…, 1984, p. 38. []
  7. C. Ciolino, Per la storia della seta in Sicilia: il Valdemone, in Splendori di Sicilia Arti Decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra (Palermo, Albergo dei Poveri 10 dicembre 2000-30 aprile 2001) a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, p. 250. []
  8. Messina aveva ottenuto il Consolato dell’Arte della Seta nel 1530, Palermo nel 1534 e Catania soltanto nel 1644. []
  9. C. Ciolino, Per la storia della seta …, in Splendori di Sicilia …, 2001, p. 250. []
  10. R. Cruciata,  Intrecci preziosi …, 2016, p. 38. []
  11. Notizia gentilmente fornitami da Denis Muniglia, che ringrazio. Anche Agostino Moneglia, fratello di Giovanni e allo stesso modo orafo, è documentato a Malta tra il 1596, per cui cfr. R. Cruciata,  Intrecci preziosi …, 2016, p. 43, e il 1602, per cui cfr. A. Brogini, Malte et l’œuvre hospitalière de Saint-Jean de Jérusalem à l’époque moderne (XVIe-XVIIe siècle), in “Mélanges de l’Ecole française de Rome: Italie et Méditerranée”, vol. 118/1, 2006, p. 93. []
  12. R. Cruciata, Intrecci preziosi …, 2016, p. 45. []
  13. Per l’argomento cfr. R. Cruciata,  Intrecci preziosi …, 2016. Cfr. pure Eadem, Note sulle arti decorative a Malta. Inediti argenti siciliani di inizio XIX secolo, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, a. 6 n. 11, giugno 2015 (https://oadiriv.unipa.it/). []
  14. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, p. 56, con bibliografia precedente. []
  15. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, pp. 56-57, con bibliografia precedente. []
  16. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, p. 57, con bibliografia precedente. []
  17. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, p. 70. []
  18. ACM Archivum Cathedralis Melitae Gesuiti, Giornale e Maggiore, Lettera F, 1646-1661, f. 427. []
  19. Per l’opera di Randazzo cfr. La Seta e la Sicilia, catalogo della mostra (Messina, Teatro Vittorio Emanuele 9 febbraio-15 marzo 2002) a cura di C. Ciolino, Messina 2002, p. 143. []
  20. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, p. 70. []
  21. Cfr. La Seta e la Sicilia , 2002, pp. 46, 98, 147. []
  22. E. Baluci, Liturgical vestments for the Order of St John in Malta, unpublished  M. A. thesis, Institute of Baroque Studies, University of Malta, September 2005, p. 44. []
  23. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, p. 58. []
  24. Ibidem. []
  25. Ibidem. []
  26. AOM Archivum Ordinis Melitae 1485, Lettere, ff. 86-87. []
  27. AOM 1485 …, ff. 66v-67. []
  28. AOM 1485 …, ff. 114-115. []
  29. AOM 1485 …, ff. 157v-158. []
  30. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, p. 58. []
  31. Per la produzione siciliana del XVIII secolo cfr. Lusso e devozione …, 1984; E. D’Amico Del Rosso, I paramenti sacri, presentazione di V. Abbate, introduzione di R. Orsi Landini, Palermo 1997;  M.C. Di Natale, M. Vitella, Ori e stoffe della Maggior Chiesa di termini Imerese, “La memoria del tempo. Percorsi d’arte nella Maggior Chiesa di Termini Imerese”, 2, Termini Imerese 1997; Luce e colore della festa Parati liturgici secc. XVII-XX, catalogo della mostra (Isnello, chiesa di Santa Maria Maggiore 1 agosto-15 settembre 1998) a cura di G. Davì, introduzione di V. Abbate, Palermo 1998; M. Vitella, I tessili nel Museo Diocesano di Palermo, in Arti decorative nel Museo Diocesano di Palermo Dalla città al museo dal museo alla città, catalogo della mostra (Palermo, Salone Filangieri del Palazzo Arcivescovile 29 ottobre-8 dicembre 1999) a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1999, pp. 124-134; M. Vitella, Tradizione manuale e continuità iconografica. La collezione tessile del Monastero di Palma di Montechiaro, in Arte e spiritualità nella Terra dei Tomasi di Lampedusa Il Monastero Benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro, catalogo della mostra (Palma di Montechiaro, Monastero del Rosario 13 novembre-13 dicembre 1999) a cura di M.C. Di Natale, F. Messina Cicchetti, Palermo 1999, pp. 178-198; Magnificenza nell’arte tessile della Sicilia centro-meridionale Ricami, sete e broccati delle Diocesi di Caltanissetta e Piazza Armerina, catalogo della mostra (Caltanissetta 1998-1999) a cura di G. Cantelli, con la collaborazione di E. D’Amico, Catania 2000; C. Ciolino, Per la storia della seta …, in Splendori di Sicilia … 2001, pp. 248-253; La Seta e la Sicilia , 2002; Magnificència i extravagància europea en l’art tèxtil a Sicília / Magnificenza e bizzarria europea nell’arte tessile in Sicilia, catalogo della mostra ( Barcellona, Museu Diocesà 7-22 luglio 2003) a cura di G. Cantelli, S. Rizzo, II voll., Palermo 2003. []
  32. Per l’argomento cfr. M. Levi D’Ancona, The garden of the Reinassance: botanical symbolism in Italian painting, Firenze 1977. []
  33. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, pp.  81-82. []
  34. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, pp.  81-82, 131-133. []
  35. R. Civiletto, Il prezioso corpus di paliotti ricamati nella chiesa di Gesù di Casa Professa a Palermo, in Magnificència i extravagància …, 2003, I, pp. 456-457. []
  36. M. Galea, The Jesuit Churc in Valletta, Malta 2004, p. 26. []
  37. Cfr. E. D’Amico, Alcune ipotesi di tessuti palermitani del periodo barocco. Il “revel” siciliano, in Magnificència i extravagància …, 2003, I, p. 423. []
  38. Cfr. G. Davì, Manufatti tessili a Isnello dal XVII al XX secolo, in Luce e colore …, 1998, p. 19. []
  39. Cfr.  G. Davì, Manufatti tessili a Isnello …, in Luce e colore …, 1998, pp. 18-19. []
  40. Cfr. M. Vitella, Scheda VI.7., in Le confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo Storia e Arte, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1993, p. 285, tav. 66. []
  41. Per l’opera cfr. L. Vella, Storja ta’ Haż-Żebbuġ, Malta 1986, pp. 103-108; T. Terribile, Treasures in Maltese Churches. Teżori fil-Knejjes Maltin. Is-Siġġiewi (Siġġiewi) Ħaż-Żebbuġ (Żebbuġ), Malta 2004, pp. 140-141, 172-173; D.S. Caruana, Il-Parroċċa ta’ Haż-Żebbuġ Ġabra ta’ Kitbiėt, Malta 2010, pp. 75-77. []
  42. Cfr. D.S. Caruana, Il-Parroċċa …, 2010, p. 75. []
  43. R. Cruciata,  Intrecci preziosi … 2016, pp. 79-81 e 123-124. []
  44. Ibidem. []
  45. Cfr. R. Civiletto, M. Vitella, Scheda n. 12 e Scheda n. 16, in M.C. Di Natale, M. Vitella, Ori e stoffe …, 1997, pp. 76-77 e 84-85. []
  46. Cfr. M. Vitella, Scheda VI, 5., in Le Confraternite …, 1993, p. 285, tavv. 72-74. []
  47. Cfr. R. Civiletto, S. Lanuzza, Scheda 21, in L’eredità di Angelo Sinisio L’Abbazia di San Martino delle Scale dal XIV al XX secolo, catalogo della mostra (Abbazia di San Martino delle Scale 23 novembre 1997- 13 gennaio 1998) a cura di M.C. Di Natale e F. Messina Cicchetti, Palermo 1997, pp. 222-223. []
  48. Cfr. R. Civiletto, M. Vitella, Scheda 91 e Scheda 93,  in Splendori di Sicilia …, 2001, pp. 619-620 e 621-622. []
  49. Cfr. M. Vitella, I manufatti tessili della Cattedrale di Palermo, in M.C. Di Natale, M. Vitella, Il Tesoro della Cattedrale di Palermo, saggio introduttivo di L. Bellanca e G. Meli, “Musei”, 2, collana diretta da M.C. Di Natale, 2010, pp. 130-131. []
  50. Cfr. M. Vitella, I manufatti tessili …, in M.C. Di Natale, M. Vitella, Il Tesoro della Cattedrale …, 2010, p. 131. []
  51. Cfr. E. D’Amico Del Rosso, I paramenti sacri …, 1997, pp. 60-62, 152. []
  52. Per l’argomento cfr. E. Steingraber, L’arte del gioiello in Europa dal Medioevo al Liberty, Firenze 1965, p. 118. []
  53. Cfr. M. Vitella, Paramenti sacri di committenza vescovile: analisi storico-critica di alcuni manufatti tessili della Sicilia occidentale,  in Splendori di Sicilia …, 2001, p. 238, con bibliografia precedente. []
  54. Cfr. R. Civiletto, M. Vitella, schede n. 92 e 94,  in Splendori di Sicilia …, 2001, pp. 620-622. []